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Una giornata nel passato


UNA GIORNATA DEL PASSATO
 
( testo di Stefano Nesti )
 
Domenica 8 settembre ’02 poteva essere una giornata come tanta altre, all’insegna della desolazione, perché volevo andare a scalare ma ero solo, e la mia compagna era costretta al lavoro. Spesso mi sono ritrovato nel panico per non saper dove sbattere la testa, con la possibilità di scalare ma abbandonato dal destino, come se i miei compagni si mettessero d’accordo per essere tutti impegnati nello stesso giorno.Spesso sono convinto di essere vittima di una maledizione, di essere condannato alla solitudine, di essere un arrampicatore maledetto. Claudio Barbier si definiva anche lui un grimper maudi, e quando ne venni a conoscenza, rimasi attratto da questa stessa definizione che entrambi abbiamo dato di noi, e quindi ho voluto conoscere meglio la vita di questo fortissimo solitario, scoprendo che anche se le nostre vite sono diverse, i nostri caratteri si assomigliano parecchio, e leggendo il racconto della sua vita mi sono sentito particolarmente vicino a lui illudendomi di capire benissimo la sua anima. Tuttavia non posso recriminare nessuno, in quanto sono io che forse mi estraneo più o meno consciamente ritrovandomi desolato e malinconico. Questo stato d’animo già altre volte mi aveva spinto a fare delle solitarie, ben sapendo che tali imprese non dovrebbero essere fatte per l’impossibilità di avere un compagno, altrimenti si rischia che diventi un giochino pericoloso e alla lunga anche fatale. Le mie scalate solitarie, però avevano sempre avuto un buon margine di sicurezza, scalando sempre auto assicurato e su vie sicure da un punto di vista della chiodatura. Tuttavia certe imprese mi richiedono un particolare stato d’animo per trovare la motivazione per farle, e le solitarie mi richiedono malinconia. Quella domenica, invece, non avevo voglia di buttarmi su un itinerario in auto assicurazione, pratica estremamente lunga e faticosa, quindi decisi che avrei scalato sciolto non essendo disposto ad impegnarmi in quell’infinità di manovre che l’auto assicurazione richiede.Devo dire che in quei giorni ero parecchio eccitato da un libro sulla storia dell’alpinismo, ed ero sbalordito dall’apprendere che grandi personaggi del passato scalavano su difficoltà di tutto rispetto completamente sciolti, non avendo mezzi di assicurazione, o rifiutandone l’uso per non far degenerare l’alpinismo in uno sterile gesto sportivo. Era una settimana che vibravo dal desiderio di sperimentare le emozioni dei grandi alpinisti del passato, quindi, decisi che avrei sperimentato l’emozione della solitaria assoluta, per far rivivere in me le emozioni di un epoca ormai dimenticata. Lo spigolo di fociomboli al Corchia rappresentava l’itinerario giusto per me, una via classica sotto tutti i punti di vista, aperta molti anni fa in stile tradizionale, con difficoltà per me contenute, di breve sviluppo e avvicinamento brevissimo. Per di più era una via che non conoscevo assolutamente e quindi il fascino dell’avvetura sarebbe stato molto reale.Una volta in parete, mi sono dovuto presto ricredere, perché la via non è per niente banale anche se non difficile, non supera mai il IV+, ed è pure bella sia come roccia che come esposizione. Alla vigilia della domenica però non ero ancora convinto, e soprattutto non avevo voglia ne di fare il viaggio, ne di trascorrere una giornata da solo.Una giornata puramente arrampicatoria non avrei avuto voglia di passarla e quindi decisi che per variarla e per alleviare il viaggio sarei andato con la motocicletta, andando al Corchia da una parte e tornando per un’altra, facendo così un bel girone attraverso le Apuane. L’idea mi piacque e così alle 10:00 della domenica con tutta calma cavalcavo la moto, una guzzi d’annata, alla volta della Garfagnana. Era una delle pochissime volte che andavo in montagna con uno zaino leggerissimo, non avendo quasi niente. Visto che la giornata doveva essere essenziale, avevo portato con me solo una borraccia d’acqua, due metri di corda e tre moschettoni per un’evenienza, le scarpine da arrampicata nel caso con gli scarponi mi fossi trovato a disagio e due barrette come cibo.Ogni qual volta che mi appresto a fare una solitaria, il mio stato d’animo è molto particolare e mi sento veramente solo come se il resto del mondo non esistesse, non solo in parete, ma per tutta la giornata. Anche quella domenica le cose non andarono diversamente e già durante il viaggio mi sentivo estraniato dal mondo godendomi la bella strada panoramica che avevo scelto e le belle curve che la mia moto pennellava con grazia.
Le Moto Guzzi sono veramente delle motociclette incredibili, belle, pratiche ed estremamente affidabili, sicure e fidate compagne di viaggio. Arrivato sotto lo spigolo di fociomboli, mi preoccupai un po' per il tempo lumacoso che sembrava volesse piovere da un minuto all’altro, comunque decisi di arrivare fino all’attacco per valutare meglio la salita. Arrivato al parcheggio notai tra le altre macchine quella del mio amico Stefano Funk il quale doveva essere andato a camminare da quelle parti. Parcheggiai la moto con molta cura, salii velocissimo il costone erboso che porta allo spigolo, e una volta sotto vidi che la salita non era assolutamente quella passeggiata per cresta che credevo, bensì un autentica scalata in parete a tutti gli effetti. Mi sedetti sulla cengia basale per mangiare una barretta, e cercando di capire che intenzioni aveva il tempo, il quale alternava brevi schiarite a leggere pioggerelle. Fu in quel momento che mi resi conto che stavo vivendo una giornata particolare, con un incredibile fascino di un epoca storica. Mi trovavo ai piedi di una parete che non conoscevo con molte incognite sulla salita, apprestandomi a fare una classicona Apuana con una scalata veramente d’altri tempi, con vecchi chiodi ad indicare l’itinerario. Anche Il mio abbigliamento sembrava del passato avendo gli scarponi ai piedi con dei grossi calzini di lana fatti dalla nonna, dei pantaloni di stoffa celeste grigiastro moderni ma con un taglio classico e la camicia verde a maniche lunghe dell’esercito. Solo il mio cappellaccio stonava un po’, ma quello mi accompagna sempre nelle belle avventure, quindi non potevo lasciarlo. Il tempo poi cosi grigio e nuvoloso, dava un tono di malinconia incredibile tinteggiando tutto di grigio, facendomi sembrare in una realtà in bianco e nero come in una vecchia foto. Per finire e non a caso, ero venuto li con la motocicletta come usavano fare gli alpinisti del passato, quando ancora le automobili erano poche o punte, ed il fatto che il mio mezzo fosse una Moto Guzzi di vent'anni fa contribuiva a dare ulteriormente un alone di vita d’altri tempi.Il tempo era incerto, ma decisi di salire ugualmente, tanto la parete era asciutta e la scalata di soli 120m non mi avrebbe impegnato che per pochi minuti. Alle 13:00 circa attaccai la via per uscirne solo un quarto d’ora più tardi, ed abituato alla scalata classica in cordata, mi fece uno strano effetto superare quel dislivello in così poco tempo.La salita scorse sotto di me velocemente e senza problemi, anche se verso la cima dopo un tentativo diretto sullo spigolo decisi per una variante a sinistra.Una volta sulla cima dello spigolo, mi girai per guardare il panorama avvolto dalle nubi e in uno sprazzo di sereno vidi giù al parcheggio il Funk con la sua donna alla loro automobile, i quali dopo una escursione mattutina erano andati a posare il materiale per poi proseguire verso il rifugio di mosceta. A gran voce li chiamai e chiesi loro quale fosse l’itinerario migliore per riscendere dallo spigolo, visto che non conoscevo la zona. Dopo avermi risposto mi disse che se avessi proseguito per cresta passando per la vetta del Corchia e riscendendo sul versante opposto avrei potuto raggiungerli al rifugio.Mi sembrò una buona idea, anche perché non ero mai stato sulla vetta del Corchia, e così mi misi velocemente in cammino.La salita alla cima non fu molto facile, dovendo superare pendii erbosi molto insidiosi, affrontando tal volta passaggi precari su terreno bagnato.Comunque in breve fui sulla vetta, avendo proceduto ad una andatura velocissima per cercare di arrivare primo al rifugio.Una volta in cima tuttavia mi trovai immerso in un fittissimo nebbione come spesso capita in Apuane con non più di otto metri di visibilità.Seguendo le istruzioni che mi aveva gridato l’amico dal basso, continuai a seguire la cresta dal versante opposto a quello dal quale ero salito. Scendendo trovai il sentiero che porta a valle e quindi lo seguii, ma ben presto mi trovai ad un colle dove finivano le tracce del sentiero, e non riuscendo a vedere niente a causa della nebbia non sapevo dove andare.Feci dei tentativi di discesa su versanti diversi, ma mi sembrava che non portassero a nulla. La nebbia era incredibilmente fitta e non riuscivo assolutamente ad orientarmi. Provai e riprovai a tornare sui miei passi tornando all’ultimo segno sul sentiero che avevo trovato, nella speranza di capire dove continuasse, ma senza nessun successo. Alla fine mi decisi a prendere una decisione. Tornai al colle da dove tra l’altro passa una teleferica, e ricordandomi che al rifugio c’è la stazione d’arrivo pensai di seguirla, ma i cavi sparivano nel vuoto passando molto alti da terra, e non riuscivo assolutamente a vederli. Comunque visto che avevo sentito delle voci provenire da quella direzione, mi decisi che il rifugio non doveva essere lontano e mi risolsi per scendere imboccando un canalone.Il canale che avevo imboccato era estremamente scosceso, solcato da una linea di scolo al centro e tutto coperto da paleo bagnato. Riuscivo a fatica a stare in piedi, e fui molto contento di avere ai piedi gli scarponi, in quanto un eventuale caduta si sarebbe sicuramente tramutata in un incredibile scivolata verso valle venendo sbalzato sui massi affioranti come la pallina di un flipper e finire catapultato nel vuoto alla fine del canale con un salto di svariate decine di metri. Per fortuna però a causa della nebbia non vedevo quale orrenda fine avrei fatto se fossi caduto in quanto i metri di visibilità erano veramente pochi. Il procedere nell’ignoto tuttavia mi preoccupava, ma non avendo altra scelta mi feci coraggio e aiutandomi con un tubo di ferro che avevo trovato scesi obliquando con moltissima cautela. Arrivai ad una fascia rocciosa e sentendomi più a mio agio li che sull’erba bagnata, effettuai un traverso in placca non molto difficile, ma con l’ignoto alle spalle mi preoccupai di fare molta attenzione. Dopo aver perso ancora un po’ di quota finalmente arrivai al di sotto delle nubi riuscendo a vedere che sotto di me il canalone finiva con un gran salto, e scorsi più in basso un sentiero. Raggiunto lo stradello che solcava il verde dei prati mi resi finalmente conto dove mi trovassi.Ero sceso completamente dalla parte opposta della montagna, ma seguendo a passo sveltissimo quel sentiero che costeggia il Corchia sul versante della Pania, in breve mi ritrovai al rifugio e cosi trovai i miei amici.Raccontate le mie avventure e dopo esserci scambiati un po’ di racconti sulle reciproche attività alpinistiche, nonché di rimembranze sulla Dimai-Comici in Lavaredo, riprendemmo la strada del ritorno seguendo un sentiero a mezza costa sul versante opposto dal quale ero arrivato, e così dopo un ora scarsa ero nuovamente alla mia cara motocicletta che con un altro bel viaggetto dal versante della Versilia questa volta, mi riportò a casa.Ero partito per fare una piccola solitaria, ed invece mi ero ritrovato in una giornata piena di azione. Avevo cercato l’avventura e l’avevo trovata, ma non sulla via di roccia come credevo bensì in quel viaggio nella nebbia e in quella discesa alla cieca. Avevo previsto una piccola camminatella di avvicinamento ed invece mi ritrovavo con i piedi spellati ed una traversata integrale con tanto di circumnavigazione del Corchia. Avevo cercato l’emozione della scoperta e l’avevo trovata in una giornata che da anonima quale era mio si trasformò in una piccola grande emozione piena di misteri ed imprevisti. Era stata veramente una giornata del passato, di esplorazione, di ricerca e di avventura con un atmosfera veramente particolare degna di un'altra epoca.